31 gennaio, 2006

Musicisti fuori dal comune

(l'articolo originale di Luigi Offeddu è recuperabile cliccando sul titolo del post) Esagramma: un’orchestra vera e senza barriere. Unica in Europa, la scuola è formata da ragazzi disabili e professionisti. Tre sillabe, di tanto in tanto. Nulla di più. Non aveva mai avuto una voce, Sandro: gli era stata rubata alla nascita, dal trauma del parto. Così, a 12 anni, il mondo gli era sbarrato: forse anche per questo, balzava indietro terrorizzato non appena una mano lo sfiorava. Invece Giorgio, un anno in più, parlava in continuazione e non ascoltava nessuno: parole a grandine, che sovrastavano le parole degli altri. Un'altra gabbia, ma senza sbarre. Un giorno, Sandro toccò un triangolo musicale. Ne ascoltò il tintinnio, lo toccò ancora: «Bel-lo», gridò. Accanto al triangolo, nella stessa stanza piena di strumenti, c'era un contrabbasso: panciuto e «forte», quasi più grande del ragazzo. Lui lo abbracciò di slancio, sembrava dargli sicurezza. Dal contrabbasso sgorgò un suono. Cioè una voce: quella che a Sandro era stata negata.
Due passi più in là, Giorgio cominciò a picchiettare sui tasti di un pianoforte: suoni a cascata, affastellati e martellanti, proprio come le parole senza controllo; ma presto, Giorgio sentì d'istinto che per rispondere al borbottìo del contrabbasso lì accanto avrebbe dovuto frenare un poco quei suoni, trattenere le sue dita. Provò, sbagliò, riprovò, si arrabbiò: 4 mesi dopo, Stefano e Giorgio strimpellavano insieme una ninna-nanna, poi suonavano Musorgskij, poi altro ancora: 6 anni dopo (cioè oggi) la Nona di Beethoven, che l'artista compose quando era già sordo. Con loro due, suona il violino Beppe, cui la paraplegia ha legato un braccio; o vola sull'arpa, libera e leggera, Carla, fino a ieri imbrigliata dalle rigidità ossessive di una psicosi. Il violino è il braccio buono di Beppe. L'arpa è l'ala che porta via Teresa, e insieme la protegge dal buio.
Come loro, centinaia di altri. Gli allievi di Esagramma, il centro di formazione e terapia che da 18 anni apre con la chiave della musica molte gabbie che possono imprigionare un essere umano: autismo, ritardi cognitivi legati a forme genetiche come la sindrome di Down, psicosi, handicap di ogni genere (compresi quelli generati da un trauma cranico); ma anche le gabbie del disagio sociale e familiare, o di un genitore in difficoltà. Obiettivo: aiuto a chi soffre, e formazione di coloro che vogliono dedicarsi professionalmente (psicologi, educatori, medici, musicisti). Lezioni individuali, un centro multimediale, e la musicoterapica orchestrale: un'orchestra sinfonica con 15 educatori e 20 allievi: arpe, timpani, violini; archi, fiati, percussioni, tutto. Quest'orchestra è unica in Europa. Quasi nessuno dei suoi allievi legge e conosce le note. Suonano a orecchio, e seguendo i gesti del direttore: così hanno suonato a Roma, davanti a Giovanni Paolo II; e a Bruxelles, al Parlamento Europeo, con l'«Inno alla gioia». Quest'orchestra è poi unica perché la musica cura e consola ma è anche concentrazione, disciplina, coordinamento, emotività, responsabilizzazione: il contrario di ciò che concedono certe patologie. «Qui la musica non è solo relax ma anche pensiero, approdo alla complessità della mente e delle relazioni, per chi forse quella complessità non l'aveva mai conosciuta», spiega il direttore scientifico Licia Sbattella.
Nei concerti suonano per ore, fieri e attenti, anche ragazzi i cui margini di concentrazione durano abitualmente pochi minuti: «E non c'è buonismo o coccole di maniera, qualcuno che ti dice sempre "bravo". All'opposto: i nostri ragazzi sono molto esigenti, si stancano presto delle canzoncine e ci chiedono le sinfonie. Ma tutto è graduale: all'orchestra si arriva dopo 2 trienni di base, con i corsi di perfezionamento, Ogni lezione viene videoregistrata. Musica classica o no, ma sempre suonata seriamente: anche se rielaborata, adattata alle nostre esigenze. La sfida è: più grande la limitazione psicofisica, più prestigiosi lo strumento e l'esecuzione. Tutta la teoria si basa sull'elaborazione della risonanza, nella migliore letteratura classica e popolare. Primo anno: canzoncine, la "Sheherazade", Prokofiev; secondo anno: Grieg, Gershwin; terzo: Shostakovic, Dvorak, Mahler, molto sentito per come elabora i sentimenti della perdita e del dolore. Chopin? No, non concede armonie distorte: noi cerchiamo musica lavorabile anche se sempre significativa, armonie che ci ospitino».
Licia Sbattella ha i capelli ricci e gli occhi affollati di scintille: laurea in bio-ingegneria e in psicologia, dottorato in informatica, cattedra di analisi del linguaggio al Politecnico; tutto accompagnato da un amore per la musica nato da bambina, nei cori delle parrocchie. Racconta ciò che a Esagramma accade ogni giorno: «Il ragazzo o la ragazza arriva qui, sceglie liberamente il suo strumento. Tocca le corde, le bacchette, i tasti: esplora il suono frusciato, pizzicato, battuto, il tremolo. E cresce: se vuole, suona da subito. Così si espone, dialoga, scopre nel gruppo una motivazione aggiuntiva, e una difficoltà aggiuntiva. L'allievo è accompagnato ma non sostituito. Subito capisce che lo strumento è una voce sua, solo sua, una protesi benefica che amplifica e magnifica ogni sforzo, gratificando, facendo incontrare il mondo; e insieme, un oggetto diverso da lui e dal suo corpo, un oggetto protettivo, alleato, un'altra coperta di Linus. Un complice: se io sbaglio un accordo, è lo strumento che sbaglia… Uno prende la marimba con le ruote, e se la porta in un angolo, come per farsi proteggere. Un altro — è capitato — tira le bacchette, furioso: dapprima pensiamo che siano crisi legate al suo autismo, poi capiamo che vuole dirci: "basta canzonette, so fare di più!". Insomma: se io sono prigioniero del silenzio, se ogni comunicazione mi ferisce o mi ubriaca, ecco che lo strumento musicale mi libera da ogni compromesso con il mondo doloroso della parola». È sera, in via Bartolini 48 è l'ora delle prove. Nella stanza traboccante di suoni, Sandro abbraccia il suo contrabbasso, Beppe il suo violino; e Carla vola, sulle ali della sua arpa.
di Luigi Offeddu

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30 gennaio, 2006

SUONI in mostra

Non sempre è facile delimitare con precisione quando una notizia rientra o meno nell' indefinito mondo della musicoterapia. Visto che questo blog sulla musicoterapia lo scrivo io mi permetto di assumermi la responsabilità di tale "scelta" e di consigliare a tutti coloro che fanno musicoterapia di andare a visitare questa bellissima mostra organizzata da Muba. La mostra prende avvio dalla complessità dell'ambiente sonoro nel quale siamo immersi sin da prima della nascita e ne privilegia l'aspetto percettivo ed emozionale. Riprende quindi l'impostazione e il metodo pedagogico già sperimentati da Muba nelle sue precedenti mostre. Nel percorso di gioco i bambini sono portati ad esplorare quanti infiniti suoni compongono il paesaggio sonoro che li circonda, a riconoscerli, a divenire consapevoli delle emozioni che suscitano. Il percorso del gioco passa idealmente dai suoni del corpo, a quelli della natura, a quelli della cultura. SUONI è alla Triennale di Milano dal 10 gennaio al 26 marzo 2006, a Città della Scienza a Napoli da aprile a giugno 2006 e in seguito a Explora, il Museo dei Bambini di Roma. Cliccando sul titolo del post si arriva al sito del Muba e si trovano altre foto e le info su prezzi ed orari.

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28 gennaio, 2006

Effetto Mozart e Alfred Tomatis

Questa sera a TERRA! su Canale 5 alle ore 23,50 in uno dei tanti speciali su Mozart che in questi giorni la televisione ci sta proponendo, andrà in onda un servizio che tra le altre cose affronterà un argomento che ha a che fare con la musicoterapia. Si parlerà di Effetto Mozart e di Alfred Tomatis. Alfred A. Tomatis nacque prematuro di sei mesi il 1 Gennaio 1920 a Nizza (Francia) da genitori italiani. La sua levatrice pensando fosse morto l’aveva preso per un orecchio e gettato nel cestino dei rifiuti. Fortunatamente alla scena assiste la nonna paterna che lo raccoglie e lo rianima. Ci ha lasciato a Carcassonne il giorno di Natale del 2001. Era figlio di un famoso cantane d’opera Humbert Tomatis, un basso lirico all’Opera di Parigi permettendogli fin da piccolo di familiarizzare con il mondo della musica e dell’opera. Questa doppia formazione, prima quella derivata dall’ambiente famigliare e poi quella derivata dagli studi medici, giocò un ruolo considerevole nell’orientamento professionale di Alfred Tomatis che molto velocemente svilupò una passione per la relazione tra orecchio e la voce.
All’età di undici anni si trasferì a Parigi con la famiglia e lì studiò e si laureò in Otorinolaringoiatria. Dopo la seconda guerra mondiale iniziò a studiare gli effetti dell’inquinamento acustico nelle fabbriche. Quello che trovò fu assolutamente rivoluzionario. Alcuni pensano che con quei risultati avrebbe potuto vincere il Nobel. Come riconoscimento delle sue scoperte nel 1951 è stato nominato Cavaliere Della Salute Pubblica di Francia. Anni dopo (1958) fu insignito della medaglia d’oro per la Ricerca Scientifica a Bruxelles.Tomatis ha scritto molto: 14 libri e numerosi articoli. Sfortunatamente non tutti tradotti in italiano. Negli anni Tomatis ha avuto in cura molte persone famose. Molti di loro desiderano mantenere l’anonimato ma alcuni l’hanno dichiarato pubblicamente. Tra questi Maria Callas, Romy Schneider e Gerard Depardieu baritono inglese Ben Luxon e dalla rockstar Sting.
Le tre leggi di Tomatis
Studiando gli operai che sono costantemente esposti al rumore, Il prof. Tomatis condusse le sue ricerche dapprima nel laboratorio di audiologia dell'Aeronautica Francese e successivamente nel suo centro di audiologia medica. Analizzando un campione di soggetti che svolgevano le proprie attività lavorative in ambienti particolarmente rumorosi (banco di prova per motori a reazione, banco di prova per motori a scoppio, ribattitura di lamiere in cantieri navali, martello pneumatico, ecc.), osservò che le frequenze dei suoni che l’orecchio non riusciva a percepire, erano le stesse che la voce non riusciva a emettere.
Tomatis ha scoperto che quando il nostro orecchio non è in grado di percepire certe frequenze nemmeno la nostra voce le conterrà : la voce esprime solo ciò che l'orecchio può sentire. Questa è quella che oggi chiamiamo la Prima Legge di Tomatis. Le implicazioni di questa semplice legge sono di larga portata come vedremo di seguito.
Tomatis amava sperimentare: Una volta tappò le orecchie di un famoso cantante lasciando filtrare solo alcune frequenze. Quasi immediatamente la voce del cantante peggiorò: le frequenze bloccate erano sparite dalla sua voce.
Basandosi su questa osservazione Tomatis formulò la sua Seconda Legge: se modifichiamo l’ascolto, la voce cambia immediatamente e inconsciamente. Se l'ascolto si modifica, immediatamente e inconsciamente si modifica anche la voce.
Un’altra interessante osservazione che egli fece fu che certi cantanti lirici sviluppavano una sordità professionale e conseguentemente perdevano la voce. Essi danneggiavano le loro orecchie perché cantavano troppo forte. Più specificatamente, essi sviluppavano una sordità per le frequenze nel range canoro, intorno ai 2,000 Hz. Come predetto dalla Prima Legge di Tomatis la loro voce non aveva poi le frequenze attorno ai 2.000 Hz. Il padre di Alfred, lui stesso un famoso cantante d’opera, spinse il figlio a trovare delle tecniche che potessero aiutare i suoi amici. Tomatis figlio pensò a lungo quale potesse essere il motivo per cui i cantanti lirici sviluppavano questa sordità professionale ed arrivò alla conclusione che l’esposizione costante a forti rumori rendeva i muscoli dell’orecchio medio flaccidi cosicché il suono ad alto volume non poteva entrare nell’orecchio interno. Che meraviglioso meccanismo di difesa! Se le cose stavano così, si può recuperare l’udito di qualcuno (e conseguentemente la sua voce) ripristinando questi muscoli (Terza Legge di Tomatis). Tutti sappiamo come rinforzare i muscoli: usandoli. Ma come si fa a stimolare i due muscoli più piccoli di tutto il corpo? Dopo molte prove, Tomatis scoperse che questi due muscoli possono essere tonificati se ascoltano una musica che viene accesa e spenta continuamente. Questi muscoli, sollecitati in allungamento e in accorciamento, in questo modo si rinforzano. Il suo primo prototipo fu una vecchia macchina da cucire che accendeva e spegneva i suoni. Successivamente scoperse che i progressi erano più veloci se invece che spegnere e accendere la musica la si faceva passare alternativamente su due canali: uno in cui sono amplificate le basse frequenze e l’altro dove sono amplificate quelle alte. Era il prototipo dell'attuale Orecchio Elettronico.

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26 gennaio, 2006

Lira

Anche se per i non addetti ai lavori il titolo del post potrebbe far pensare ad un messaggio di carattere economico-monetario, con questo post torno ad occuparmi dello strumentario di chi fa musicoterapia.
Strumento della famiglia dei cordofoni, la lira è l’antenata dell’arpa. E’ stata molto popolare nelle culture celtiche della Scandinavia, Irlanda, Francia e Lituania. Molto più piccola e maneggevole dell'arpa, ha un suono molto delicato e una vibrazione percepibile distintamente dal corpo di chi la suona. Non permette un accompagnamento armonico come la chitarra ma in un contesto musicoterapico è particolarmente utile. Grazie alle sue dimensioni ridotte è facilmente trasportabile ma il suo pregio maggiore è che si può usare anche con quegli utenti che sono seduti in una sedia rotelle senza temere i vincoli dettati dai braccioli della stessa. Si può impugnare e tenere in vari modi: orizzontalmente appoggiata alle ginocchia oppure verticalmente, sorreggendola con la sinistra e suonandola con la destra. C'è chi la suona abbracciandola e tenedola molto vicina come se fosse un bambino. Pesa poco e non presenta spigoli anche se va prestata un pò di attenzione alla sezione dove ci sono i piroli che ne permettono l'accordatura. Il modello che possiedo è fatta con legno d'acero ed ha una forma che ricorda una conchiglia aperta. Molti utenti dicono che sembra un piede, altri un orecchio. Ha sette corde ed è accordata su una scala pentatonica. Viene fabbricata in Svezia dalla ditta Auris

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24 gennaio, 2006

Canzone Soliloquio

Quando si fa musicoterapica con utenti molto gravi, quelle persone con cui la medicina non sa più che fare, quelle persone che la psicoterapia non considera nemmeno tra la lista dei “possibili” clienti, quelle persone che la ricerca ignora perché è economicamente svantaggioso e tecnicamente impossibile, quando si lavora con queste persone, anche il musicoterapeuta deve ridimensionare i propri obiettivi e sperimenta i propri limiti. Meno male che ancora ci è concesso questo privilegio. Immagino che questo tipo di esperienze sia una delle situazioni che capitano spesso a chi fa musicoterapia di mestiere visto che Kenneth Bruscia cita addirittura una tecnica, la Canzone Soliloquio che compare come costante tra le strategie adottate dai musicoterapeuti che lavorano con queste persone, persone per le quali anche la “diversa abilità” fa fatica a farsi riconoscere. Ho usato volutamente il verbo "immagino" all'inizio della frase precedente perchè tra colleghi non capita quasi mai di ammettere le difficoltà nel proprio lavoro. C'è una sorta di timore ad ammettere che a volte non si sa che fare...
La composizione e la composizione facilitata permettono, a chi non può, non vuole o non deve "parlare", di trovare altri contesti possibili per comunicare quello che c’è dentro. La canzone diventa un contenitore che ammortizza e rende condivisibile socialmente il contenuto comunicato, sia per l’emittente che per il ricevente. Di seguito una delle mie Canzoni Soliloquio. La musa ispiratrice è una piccola donna di 12 anni che per questo blog chiamerò Speranza. Speranza ha una tetraparesi spastica. Fatica a respirare, a mangiare, a dormire. Non parla e non ti guarda mai negli occhi. Non fa mai un gesto volontario. Sembra che niente e nessuno catturi il suo interesse.


NON LO SAPRO'

A volte lo sai
Mi convinco che se
Se sapessi cosa pensi
Potrei aiutarti di più
Mi perdo ad inseguire
Mille e più fantasie
Che alla fine...
Alla fine ti vedono qui
A cantare con me

Ma sì….
Te lo dico così
Sempre usando due corde
La chitarra e la voce
Lo so...
lo so bene
Che non lo saprò
E ugualmente a cantare
E a suonare per te
continuerò...


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22 gennaio, 2006

Canzoni su una nota sola

Quando faccio (come oggi ) i laboratori sul songwriting in musicoterapia, fino a quando si lavora sul testo, sulla rima, sulla metrica, sugli accenti, sul ritmo, tutto sommato la maggior parte delle persone si applica senza protestare verbalmente sulla difficoltà del compito. Quando inizio ad affrontare il "capitolo musica", invitando le persone ad inventare una melodia per le parole che abbiamo scritto, tutto sembra improvvisamente difficile. Si scatena un ammutinamento di massa. Volano le proteste e gli slogan. Si assiste ad una amnesia collettiva: ci si dimentica che non sta scritto da nessuna parte che per forza la nostra linea vocale deve avere intervalli ascendenti e discendenti vertiginosi e continui. Vale come sempre la regola che possiamo tranquillamente iniziare con le cose semplici e diventare "abili" piano piano in questo mestiere. Se questo è vero qual'è il livello 1 della progressione del provetto compositore e facilitatore di canzoni in musicoterapia? Facile: musicare il nostro testo usando soltanto una nota! Uno a questo punto si aspetta che il gruppo, sollevato dall'ansia della performance, tirando un sospiro di sollievo dica: "Grazie". Invece no! I timorosi e inibiti partecipanti tornano improvvisamente gagliardi e iniziano: "Ma così è banale, non c'è gusto, è troppo facile, che palle, sempre uguale, dopo un pò non ne puoi più ecc. ecc".
Che razza gli allievi...eppure insegnare questo mestiere mi piace :-)

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20 gennaio, 2006

Ma funziona?

la Musicoterapia funzionare??? ...ma certo che no :-)
Questa è la domanda con tante risposte quante sono le persone che te la pongono, gli anni che hai, il contesto in cui sei, il percorso formativo e gli incontri con i Maestri che il destino ti ha concesso. E’ la domanda che ogni professionista si è fatto e si fa da sè mille volte. Ho conosciuto e conosco molti colleghi che in ogni contesto ostentano una fiducia totale nella Musicoterapia come disciplina e nella loro competenza ed abilità professionale. Io preferisco sintonizzarmi con libertà alla situazione. Se a farmi la domanda è mia moglie rispondo: ”Non preoccuparti. Anche questo mese mi hanno pagato!” Se la stessa domanda me la pone la mamma di un bambino con Sindrome di Down, invece che fornire una risposta formulo una nuova domanda del tipo: ”Ma lei signora cosa si aspetta dalla musicoterapia?” Quando me lo chiede uno psicologo gli dico: ”Con le tue competenze potremmo fare un’ipotesi, scegliere delle variabili, un campione, un disegno di ricerca e mettere in piedi un esperimento!”. Se invece a chiedermelo sono gli allievi di una scuola di musicoterapia, durante la prima lezione, con un sospiro rispondo (parafrasando il detto di un Maestro di Composizione del Conservatorio di Verona): “Certo che no!...Chi vi ha detto che funziona?...Cari ragazzi, la vera musicoterapia, quella che funziona, l’hanno già fatta tutta i grandi nomi... quella che non funziona l’ho fatta tutta io... a questo punto potete tranquillamente risparmiare i vostri soldi!”

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18 gennaio, 2006

Musicoterapista o musicoterapeuta?

Questa è la stessa domanda (Musico...che?) tranne che a farla non è un addetto comunale ma un addetto ai lavori, uno studente di musicoterapia...insomma qualcuno che sa già qualche cosa e non parte da zero. Si perché quando pensi di sapere qualche cosa sulla musicoterapia cominciano a venirti i dubbi su chi sei tu. Quella delle differenze tra musicoterapista e musicoterapeuta è una querelle squisitamente italiana. Nella lingua tedesca non c’è distinzione tra terapeuta e terapista si dice semplicemente therapeut. Lo stesso nei paesi di lingua inglese: esiste un termine unico therapist. Da noi invece si differenzia. Che si differenzi e si scelga tra i termini è naturale e lecito. La discussione non è quindi se è più corretto l’uno o l’altro ma perché un professionista, una associazione, una scuola decide di denominarsi o denominare i propri iscritti in un modo piuttosto che in un altro. Oggi in Italia la maggior parte delle associazioni di professionisti usa questa giustificazione: il musicoterapista è l’esecutore, il tecnico, colui che lavora “nel presente” e che attua il programma deciso dal musicoterapeuta. Il musicoterapeuta è la figura con maggior responsabilità e formazione. E’ lui che fa la diagnosi, decide la terapia e a conclusione del trattamento valuta il raggiungimento degli obiettivi prefissati. E’ il terapeuta che può scavare nel passato e rimuovere blocchi, interpretare, restituire, guarire. Nel ruolo del “primario” di musicoterapia può trovarsi solo un laureato in medicina e/o psicologia meglio se con una specializzazione clinica (psichiatra, neuropsichiatra) e/o una specializzazione in psicoterapia. Le professioni appena elencate sono tutte regolamentate da degli Ordini Professionali (Ordine dei Medici, Ordine degli Psicologi, Ordine degli Psicoterapeuti). Se questo è vero, facendo un ragionamento strettamente logico, oggi in Italia nessuno può essere musicoterapista perchè questo termine ha un senso solo in relazione alla figura del musicoterapeuta ma, ironia della sorte, nessuno può essere musicoterapeuta perchè le figure cliniche iscritte ad un ordine (medici, psicologi, psicoterapeuti) non possono fregiarsi di un titolo che non sia riconosciuto dallo Stato, pena un richiamo dell’Ordine stesso e l’invito a provvedere all’eliminazione della qualifica non regolamentata da biglietti da visita, carta intestata, targhe, timbri ecc. Non ci resta che cambiare nome... qualcosa del tipo musicopata o musichiatra. Personalmente penso che una disciplina così ricca come la musicoterapia non possa accontentarsi di un solo nome per definire il proprio professionista. Mi piace l’idea che ci siano più modi per chiamare lo stesso operatore: musicoterapista, musicoterapeuta, musicopata, musichiatra (gli ultimi due gli ho inventati io ). Ognuno sceglie quello che gli piace di più e poi da una giustificazione del perché. A me non dispiacerebbe poi tanto la definizione musicoterapista se non fosse che il suffisso finale “pista” mi suona (proprio nel senso acustico del termine) molto acuto, appuntito, spigoloso. Musicalmente parlando sceglierei musicopata ma il suffisso finale “copata” mi ricorda l’espressione in dialetto veneto: “Copala” che significa “Ammazzala” e ogni volta mi viene da ridere. Musichiatra è troppo da dottore e quindi mi resta musicoterapeuta che è davvero un nome molto musicale, pieno di vocali tonde e morbide, accoglienti e calde.

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17 gennaio, 2006

Musico...che?

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Musico... che? Fu esattamente questa l’esclamazione interrogativa che mi venne rivolta dall’impiegato dietro il bancone professione dell’Ufficio Anagrafe di Villafranca di Verona, nel settembre del 1996, quando dichiarai la mia professione. La stessa scena si era ripetuta tre anni prima al Comune di Castel d’Azzano. A rigor di logica prima di parlare di Riconoscimento per chi fa musicoterapia, bisognerebbe che qualcuno si preoccupasse di far conoscere questo mestiere. Una delle finalità di questo blog di musicoterapia vorrebbe essere proprio quella di far arrivare qualche cenno su questa professione anche a chi non bazzica cliniche e centri terapeutici tutti i giorni.
Ho il terrore di quando andrò a rinnovare la Carta d’Identita nel 2007. Chissà se per quella data sarà tutto più semplice!

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15 gennaio, 2006

Ma si vive facendo questo mestiere?

Questa è l’ultima domanda che si fa ma la prima che si pensa. Sta dietro a tutte le altre domande sulla musicoterapia ed essendo spesso sottintesa va ad insinuarsi indirettamente nel naturale senso di appagamento che ci si aspetta da tutte le risposte agli altri quesiti. Per un giovane in cerca di lavoro o un meno giovane che vuole cambiare la professione che fa, è vitale sapere se ha un senso investire tempo e denaro in un percorso formativo musicoterapico.
Quali sbocchi offre la musicoterapia?
Che sicurezze e garanzie ci sono?
Si vive facendo questo mestiere?
Quando mi viene rivolta questa domanda, rispondo sempre con un rasserenante si. Subito dopo specifico che non si diventa ricchi ed è decisamente meglio se hai una moglie (o un marito) che ti mantiene. Invito poi i giovani a portare avanti una formazione parallela in ambito universitario. Per chi sta cercando nuovi sbocchi lavorativi e vuole mollare l’occupazione attuale, non mi stanco di ripetere che è meglio prendersi un anno di aspettativa e mettersi alla prova prima di decidere. In ogni caso è un dato di fatto che la maggior parte dei diplomati in musicoterapia appena trova qualcosa di “meglio” non ha remore e cambia mestiere. Fare musicoterapia richiede la capacità di sostenere la precarietà di un posto incerto, mai uguale, poco riconosciuto. Chi cerca o sogna il posto fisso e routinario non resiste. Un altro dato interessante che può aiutare a chiarire la situazione è che spesso chi decide di studiare musicoterapia non lo fa perché pensa di fare questo mestiere da grande. Molti hanno già una competenza, un diploma, un lavoro “riconosciuto” che gli garantisce il posto fisso. La formazione diventa quindi un modo per implementare il proprio sapere e per continuare a fare il proprio lavoro.

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14 gennaio, 2006

Musicoterapia e Cure Palliative

Dal 26 al 29 di Aprile si terrà a Bologna il XIII Congresso Nazionale SICP Società Italiana di Cure Palliative. Uno potrebbe chiedersi: cosa c'entra questo con la musicoterapia? Centra perchè dal 2001 il mio lavoro di musicoterapeuta si sta indirizzando in modo sempre più massiccio proprio nel settore delle Cure di Fine Vita rivolte ai malati terminali oncologici presenti negli Hospices. In provincia di Verona esiste una struttura di questo tipo e grazie ad un finanziamento della Fondazione Cariverona, da quattro anni a questa parte due volte alla settimana vado con tutti i miei attrezzi a fare musicoterapia all'Hospice San Cristoforo di Cologna Veneta. Ma i motivi per cui oggi posto questo messaggio sul Congresso della SICP non sono finiti. Poco fa ho infatti ricevuto l'invito ufficiale da parte della Segreteria Organizzativa del congresso a partecipare con una relazione sulla musicoterapia. Non è la prima volta che porto dei miei lavori a Convegni e Congressi ma questa è in assoluto la prima volta che sono INVITATO a farlo e questo mi riempie di soddisfazione.

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12 gennaio, 2006

Quando e perchè si usa questa tecnica?

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Quali fattori determinano in che modo, quale musica verrà usata?
Gli incontri di musicoterapia sono programmati tenendo presenti vari fattori. Per prima cosa, il musicoterapeuta deve scegliere quale tipo di esperienza musicale usare rispetto agli obiettivi del processo terapeutico e alle necessità dell' utente. Ognuna delle esperienze che descriveremo di seguito richiedono, da parte dell’utente, risposte differenti ed hanno ovviamente potenziali effetti differenti. Per esempio, improvvisare e comporre sono entrambe due esperienze musicali creative ma una, l’improvvisazione, si svolge su un piano estemporaneo mentre la composizione no. Inoltre l’improvvisatore esegue lui stesso la sua musica mentre il compositore si affida di solito ad un esecutore. Continuando con questo confronto, creare la propria musica è piuttosto diverso dal riprodurre o eseguire la musica già composta da qualcun altro. Un esecutore deve trasmettere fedelmente le idee musicali di un’altra persona, mentre chi improvvisa o compone è preoccupato solo delle sue idee. Infine l’ascolto è abbastanza diverso dagli altri tipi di esperienza musicale perchè prevede la ricezione della musica senza essere coinvolti nella sua creazione o produzione. L’ascoltatore è attivo ma è attivo in modo diverso dall’improvvisatore, il compositore o l’esecutore. Le implicazioni terapeutiche di queste differenze sono moltissime.
L’improvvisazione è più adatta per quegli utenti che devono sviluppare la spontaneità, la creatività, la libertà di espressione, la comunicazione e le abilità interpersonali. Molte categorie di utenti diverse manifestano queste necessità, dai bambini con disturbi della sfera emozionale, agli adolescenti che non riescono a controllare i loro impulsi, ai bambini con ritardo dello sviluppo agli adulti con problematiche psichiatriche. L’improvvisazione rende in grado questi utenti di comunicare e condividere emozioni e sentimenti con altri e nello stesso tempo li aiuta ad organizzare in maniera adeguata i loro pensieri e le loro idee.
• Le esperienze esecutive sono più indicate per quegi utenti che necessitano di sviluppare le abilità sensomotorie. Apprendere dei comportamenti adattivi, mantenere l’orientamento nella realtà, apprendere diversi comportamenti di ruolo, identificarsi con i sentimenti, le emozioni e le idee degli altri o lavorare cooperativamente per il raggiungimento di obiettivi comuni sono le competenze di base per cantare o eseguire musica precomposta. Per esempio se durante un incontro di musicoterapia lavoriamo sul canto, possiamo aiutare quelle persone che hanno difficoltà nel parlare favorendo il miglioramento dell’articolazione e della fluenza. Al contrario il cantare in gruppo può sviluppare l’orientamento nella realtà negli individui anziani o aiutare le persone con ritardo mentale a sviluppare comportamenti adatti al contesto sociale e interpersonale o ancora a sviluppare la coesione in un gruppo o una famiglia disfunzionale.
Suonare gli strumenti può aiutare gli utenti con disabilità fisiche per sviluppare la coordinazione grosso e fine motoria. Il suonare gli strumenti abbinato alla lettura della notazione (non necessariamente in forma tradizionale sul pentagramma) può aiutare i bambini con disabilità dell’apprendimento a sviluppare l’integrazione uditiva- motoria o visivo-motoria. Con bambini con disturbi della sfera emozionale, il suonare gli strumenti in gruppo può essere usato per superare problemi comportamentali o per controllare l’impulsività. Gli strumenti possono anche aiutare gli individui con ritardo mentale a comprendere meglio il mondo degli oggetti.
• Le attività che prevedono la composizione sono usate con quegi utenti che hanno bisogno di imparare a prendere delle decisioni e a mantenere degli impegni e trovare strategie per lavorare in modo funzionale, economico e dentro certi limiti. Spesso l’idea espressa in una composizione è un pensiero o un sentimento importante per quella persona. Probabilmente l’esempio migliore in questa situazione è la tecnica della creazione/composizione di canzoni (Songwriting). Con i bambini in ospedale questa tecnica può diventare un mezzo per esprimere e comprendere le loro paure per poi lasciarle sul foglio di carta! La scrittura di canzoni può diventare anche per gli adulti malati di cancro un contenitore per esprimere i loro sentimenti sulla vita, la morte e diventare un dono d’addio per le persone amate. Gli utenti con problematiche legate all’assunzione di stupefacenti o alcol spesso trovano il gruppo di composizione di canzoni un mezzo efficace per esaminare pensieri irrazionali e paure e per documentare la loro intenzione di cambiare.
• Le esperienze in cui viene proposto l’ascolto di norma sono quelle con utenti che necessitano di essere attivati o rilassati dal punto di vista fisico, emozionale, cognitivo o spirituale, dal momento che queste sono i tipi di risposte che l’ascolto musicale elicita. Per esempio gli utenti ospedalizzati trovano che l’ascolto della musica sia d’aiuto per rilassarsi, ridurre lo stress, gestire il dolore e regolarizzare le funzioni fisiologiche quali il ritmo cardio-circolatorio e quello respiratorio. L’ascolto può anche essere attivante ed energizzante. Con utenti psichiatrici l’ascolto di canzoni invariabilmente va a toccare pensieri e idee che necessitano di essere esaminate e discusse e contemporaneamente fa emergere sentimenti che necessitano di essere espressi e condivisi. Con soggetti in psicoterapia l’ascolto di musica può essere usata per stimolare fantasie, associazioni e ricordi che contribuiscono notevolmente al processo. Infine con le persone anziane l’ascolto di musica può facilitare il ricordo strutturato e la revisione della loro vita.
• Con bambini con ritardo mentale e difficoltà di apprendimento, esercizi di ascolto percettivo possono essere usati per costruire, creare abilità di riconoscimento di stimoli uditivi. Ascoltare canzoni e seguirne il testo può anche aiutare questi bambini ad imparare e memorizzare colori, numeri, vocaboli particolare, sequenze di comportamento e tutta una serie di materiale accademico. Infine con tutti gli utenti l’ascolto di musica offre un ausilio inimitabile per facilitare esperienze a livello spirituale (peak experiences). Tali esperienze infondono speranza e coraggio mentre riconfermano la bellezza della vita.

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11 gennaio, 2006

E se a uno non gli va?

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Ma se un utente non ne vuole sapere di fare musicoterapia che si fa? In teoria non ci si dovrebbe mai trovare in uno stato come quello delineato dalla domanda ipotizzata perchè prima di intraprendere un percorso musicoterapico si discute con l'interessato, o chi per esso, sulle opportunità offerte da questa pratica. Ricordiamo che la musicoterapia è un'opportunità e come tale non è il rimedio universale e noi non siamo una "aspirina sonora in mi bemolle". Tradotto: si può consigliare all'interessato di non iniziare la musicoterapia o di rivolgersi ad un collega che per competenza, esperienza e sensibilità particolare è in grado di prenderlo in carico. Ipotizziamo che nella fase interlocutoria si decida di procedere. In questo caso è buona norma prevedere un periodo di osservazione che potrebbe portare alla successiva decisione di NON presa in carico dell'utente.
Può capitare che tutto questo rimanga una buona pratica suggerita dai manuali ma che poi in realtà, soprattutto quando si lavora dentro a delle istituzioni, tutto si svolga in modo tale che ci troviamo a lavorare con persone inviate al musicoterapeuta senza un minimo di programmazione d'equipe o di consultazione. Questo si traduce in partecipanti che, fosse per loro, andrebbero volentieri a farsi una passaggiata invece che venire a cantare, suonare, improvvisare, comporre ...e quindi?
A volte non è la persona a decidere ma il responsabile interno ad una struttura, un familiare, un caregiver che ritiene che la partecipazione ad un incontro di muscioterapia potrebbe giovare ad un particolare utente. Se un utente adulto in grado di esprimersi, viene "inviato" alla musicoterapia da terzi e dichiara verbalmente, oltre a dimostrarlo non verbalmente, di non essere interessato al contesto sonoro-musicale, non ha nessun senso forzarlo a partecipare. Ovviamente si tenta di creare curiosità, motivazione ed interesse. Si può far sapere all'interessato che qualora lo volesse c'è questa opportunità ma niente di più. Il resto si combatte su altri fronti: si va a fare una discussione con l'inviante armandosi di pazienza e diplomazia.
Se il contesto è gruppale, si può invitare il singolo non motivato a "stare" nella stanza senza "fare" ed eventualmente a non venire la volta successiva.
Mi rendo conto che le possibilità e la casistica sono infinite e per ognuna c'è un comportamento specifico da adottare. Questi sono solo due esempi...

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10 gennaio, 2006

Chi può fare questo mestiere?

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Provocatoriamente si potrebbe dire che tutti sono in grado di operare nel settore della musicoterapia: c’è forse qualcuno che non riesce a scegliere un disco e azionare un riproduttore sonoro? Molti anni fa, il mestiere del guaritore con il suono e la musica (lo sciamano) si trasmetteva di padre in figlio. Oggi chi vuole imparare questa professione (attenzione però guai a parlare di sciamano) ha la possibilità di frequentare dei corsi. Le scuole (tra breve metterò i links) anche se in modo non completamente uniforme, hanno affrontato il problema della selezione inserendo dei criteri d’ingresso e delle prove di ammissione. Nella maggior parte dei casi viene posto un limite per titoli richiedendo un diploma, un limite esecutivo che richiede una prova pratica su uno strumento ed infine un colloquio per valutare motivazioni e attitudini alla relazione d’aiuto. La varietà di livelli e di metodiche di questa selezione è pari alla diversità delle scuole presenti in Italia.
Rispetto ai titoli culturali, ad oggi ci sono scuole aperte ai diplomati di scuola superiore, ai laureati, ai diplomati in conservatorio e alle varie combinazioni tra queste possibilità. Non ci sono limiti massimi d’età. C’è poi da dire che qualcuno sospetta che essendo quasi tutte le scuole a pagamento la selezione è spesso una proforma e si “risolve” il problema accettando anche chi non è in “regola” con i criteri sopra elencati ma si impegna a colmare le lacune durante il corso.

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09 gennaio, 2006

Quali caratteristiche e qualità dovrebbe avere un musicoterapeuta?

Le persone che intraprendono la carriera del musicoterapeuta di solito sono musicisti che hanno un forte desiderio di usare il loro amore per la musica e le loro competenze per aiutare gli altri. Tra coloro che fanno musicoterapia ci sono anche molti professionisti che arrivano dal mondo clinico (medici, psicologi, psicoterapeuti), dal mondo educativo, (insegnanti, educatori, pedagogisti, psicopedagogisti), dal mondo legato alle problematiche sociali (operatori di comunità, assistenti sociali, animatori). Come si può dedurre c’è una bella e ricca diversità nelle provenienze di tutte queste persone. A prescindere dal mondo formativo e professionale da cui si arriva alla musicoterapia, possiamo dire che chi fa questo mestiere dovrebbe, almeno in teoria, possedere alcune caratteristiche legate al mondo delle competenze (sape fare) e al mondo delle predisposizioni (saper essere).
• Avere confidenza con gli elementi musicali è una qualità essenziale. L’essere musicoterapeuta richiede una conoscenza approfondita del potere della musica e l’abilità di raggiungere gli altri cantando, improvvisando, componendo e suonando uno o più strumenti. Gli studenti di musicoterapia possono essere padroni di qualsiasi mezzo esecutivo tuttavia gran parte dello studio e della formazione dovrebbe essere dedicato all’implementazione delle competenze esecutive, improvvisative e creative su pianoforte, chitarra e voce poichè questi strumenti sono quelli più usati nelle situazioni cliniche.
• I musicoterapeuti inoltre devono possedere un ampio bagaglio di conoscenze e abilità musicali generali. Non è raro che venga loro richiesto di conoscere o saper suonare pezzi di musica classica, popolare, rock, jazz, ballabile ecc.
• Un'altra competenza che viene richiesta a chi decide di intraprendere questa carriera è quella di essere in grado di accompagnarsi con uno strumento armonico mentre si canta.
• Devono avere un minimo di dimestichezza con i processi compositivi di base per creare canzoni e arrangiamenti adatti all'utenza.
• Ultima ma non minore è la capacità richiesta a chi fa questo mestiere, di saper improvvisare con il proprio strumento cogliendo come “temi musicali” suoni, gesti, espressioni che l'utente agisce durante l’incontro di musicoterapia.

Le caratteristiche legate alla sfera personale sono riassumibili nei tre punti che seguono:
• Il musicoterapeuta efficace è una persona in buona salute fisica e psichica e ha la motivazione, la perseveranza e la maturità necessarie per lavorare in modo terapeutico con persone con caratteristiche eccezionali.
• Non c’è bisogno di dire che un terapista deve essere una persona sensibile e desiderosa di prendersi cura del prossimo e riesce ad accettare le differenze negli altri.
• Altrettanto importante da ricordare è che un terapista dovrebbe avere una tale consapevolezza di se’ e una stabilità emotiva necessarie per permettergli di entrare in relazione d’aiuto con persone che hanno dei problemi.

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08 gennaio, 2006

Gli utenti devono essere musicisti ?

Non bisogna essere musicisti per partecipare o avere dei benefici da una seduta di musicoterapia. Proprio perchè la maggior parte degli utilizzatori della musicoterapia non hanno avuto una alfabetizzazione strumentale precedente, gli incontri di musicoterapia sono sempre strutturati in modo tale da sfruttare la tendenza innata in tutti gli essere umani, ognuno al proprio livello di sviluppo, a fare ed apprezzare la musica.

• Gli operatori di musicoterapia partono dal presupposto che tutti gli esseri umani, a prescindere dall’età o dal background musicale, possiedono una capacità base per apprezzare e produrre musica. Questa capacità di base non richiede il talento o lo studio approfondito che caratterizza la carriera del musicista professionista ma deriva dagli apprendimenti e dalle conquiste fatte nelle fasi del normale processo di crescita dell’essere umano. Detto in altro modo: il processo di sviluppo umano predispone tutti ad essere dei “fautori” di musica e amanti della musica ad un livello basilare. Questa musicalità naturale insita in ogni essere umano prevede la capacita in potenza per apprendere a:
- cantare
- suonare dei semplici strumenti
- muoversi a ritmo sulla musica
- essere influenzati dagli elementi musicali
- percepire le relazioni tra i suoni
- ricordare la musica
- immaginare dei suoni
- dare un significato ad un’esperienza musicale

• Naturalmente in un contesto clinico, i musicoterapeuti spesso incontrano utenti con problematiche fisiche o mentali che interferiscono con queste competenze musicali di base. Tra l’altro si può capire molto, relativamente alla patologia del utente, proprio valutando quale delle competenze musicali di base sono scomparse o sviluppate in modo inadeguato. Per esempio un utente con problemi a livello comunicativo può non essere in grado in base alla specifica natura del suo disturbo di: cantare, articolare il testo di una canzone, riprodurre dei ritmi o delle melodie, ordinare delle sequenze sonore o partecipare attivamente in un gruppo in cui si fa musica.

• Si presta sempre molta attenzione ad adattare le proposte di musicoterapia alle abilità dei utenti evitando così qualsiasi occasione che possa causare danno o sofferenza immotivata di qualsiasi tipo. I musicoterapeuti devono anche essere consapevoli che alcuni utenti potrebbero avere reazioni fisiologiche e/o psicologiche negative in un contesto sonoro musicale.

• Un altro concetto importante è poi quello delle preferenze dell’ utente relativamente al tipo di proposte musicali, allo stile della musica e al mezzo con cui si concretizza l’espressione musicale.

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07 gennaio, 2006

Cosa fanno gli utenti in una seduta di musicoterapia?

Da oggi inauguro una nuova categoria di post su questo blog di musicoterapia: le Domande più Frequenti relative alla musicoterapia che mi sono state Chieste (FAQ). Quando fai un mestiere come il mio, dividi la tua giornata lavorativa in tre sezioni: parte delle tue ore quotidiane le dedichi a procacciarti il lavoro che ancora non hai, parte a compiere il lavoro che hai e parte a rispondere a chi ti chiede “chi sei”, “cosa fai”, “perchè”, “come”, “dove”, ecc. Da un rapido bilancio mi sono accorto che, nel mio caso, il tempo dedicato alla sezione “risposte” è decisamente di più di quello dedicato alle altre due. La spiegazione che mi sono dato è che quella di rispondere è una mia dote: sono bravo a soddisfare i dubbi e le incertezze delle persone relative al mondo della musicoterapia. Mia moglie mi ha detto che era meglio se avessi avuto il dono di far accettare un mio progetto e ancora meglio se il mio talento avesse deciso di esprimersi nel compiere un lavoro retribuito. A volte per tenermi in allenamento quando nessuno mi chiede niente provvedo da solo a farmi le domande. Ma il dubbio più grande non è trovare la risposta quanto sapere se le mie risposte sono giuste! Così ho pensato che potrebbe essere utile provare a scrivere. No, non lo faccio per quei poveretti che già hanno avuto la pazienza di ascoltarmi... lo faccio per me... Sono sicuro che quando mi rileggerò tra qualche tempo scoprirò che è inevitabile che la gente continui a porre le stesse domande fino a quando in giro c’è gente come il sottoscritto che da certe risposte!!!
Ciò che rende la Musicoterapia diversa da qualsiasi altra forma di terapia è l’importanza che viene data alla musica. Questo significa che in ogni incontro il paziente viene coinvolto in un’esperienza musicale di qualche tipo.
Le principali esperienze possibili in un incontro di musicoterapia sono:
improvvisare, ricreare/eseguire, comporre e ascoltare musica.
• Negli incontri dove si improvvisa, il paziente produce i suoi suoni e la sua musica in modo estemporaneo, vocalizzando, fischiando, cantando o suonando qualsiasi cosa desideri in quel momento, quello che gli viene. Il paziente può improvvisare liberamente, rispondendo spontaneamente ai suoni nel modo in cui essi emergono oppure può improvvisare secondo delle indicazioni musicali specifiche proposte dal terapista. Spesso viene chiesto al paziente di improvvisare ispirandosi a delle emozioni, gli viene richiesto di "suonare", mettere in "forma di suono" un sentimento, un fatto che gli è accaduto, una persona, una situazione che è stata esplorata durante la terapia. Il paziente può improvvisare con il terapista, con altri pazienti o da solo in base agli obiettivi terapeutici.
• Negli incontri dove si riproduce musica, il paziente canta o esegue musica composta precedentemente. Questo tipo di esperienza musicale può includere: l’apprendere come produrre suoni con la voce o gli strumenti, l’imitazione di frasi musicali proposte, imparare a cantare, usare la notazione musicale, provare a cantare da solista, prendere lezioni di musica, eseguire un pezzo a memoria, lavorare sull’interpretazione di una composizione, partecipare ad uno spettacolo musicale e così via.
• Negli incontri dove si usa la composizione, il terapista aiuta il paziente a scrivere canzoni, testi o pezzi strumentali o a creare qualsiasi tipo di prodotto musicale come un video o una compilation. Di solito il terapista semplifica il processo coinvolgendo il paziente negli aspetti più semplici del compito (inventare una melodia o scrivere il testo di una canzone) e assumendosi gli aspetti più difficili (armonizzazione, notazione musicale).
• Negli incontri che prevedono l’ascolto, il paziente è il soggetto ricevente di un evento musicale suonato dal vivo o riprodotto tramite un impianto di diffusione. L’esperienza d’ascolto può essere focalizzata su aspetti fisici, emozionali, razionali, estetici o spirituali e il paziente può rispondere attraverso attività quali il rilassamento, la meditazione, il movimento strutturato o libero, consegne di tipo percettivo, libere associazioni, racconto di storie, immaginazione, reminescenza, pittura e così via. La musica usata per questo tipo di esperienze può essere musica improvvisata e/o esecuzioni dal vivo o registrate dal terapista o dal paziente o anche registrazioni di musica di vario genere e stile (classica, popolare, rock, jazz, religiosa, liscio ecc).
• Oltre a questi tipi di esperienze musicali, il musicoterapista spesso coinvolge i pazienti in discussioni verbali. I pazienti possono venir incoraggiati a parlare relativamente alla musica in tutti i suoi aspetti, sulle loro reazioni ad essa, o sui pensieri, le immagini e le emozioni che hanno percepito durante l’esperienza musicale. In alcuni casi i pazienti possono anche essere incoraggiati ad esprimere se’ stessi attraverso altre arti come la pittura, il disegno, la danza, il teatro, la poesia. Le sessioni di musicoterapia per bambini spesso includono vari giochi o attività che prevedono la musica.

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04 gennaio, 2006

Musicoterapia alla radio

Stamattina sulla Gazzetta Del Mezzogiorno ho letto una notizia interessante per la musicoterapia: sabato 7 gennaio alle ore 21.30 prenderà il via la programmazione di Radio Imago, la prima web-emittente italiana dedicata interamente ad arte, musica e spettacolo, fruibile da tutti i navigatori all’indirizzo www.radioimago.net. Il sito, che avrà una programmazione non-stop, presenta due layout (uno per il giorno, l’altro per la notte) e rispetta i requisiti di accessibilità per i visitatori ipovedenti. Sulla web- radio si susseguiranno notiziari, curiosità e rubriche abbinate a generi musicali differenti. Fino a qui niente di così eccezzionale ma il bello arriva nel proseguo dell'articolo. Radio Imago propone rubriche settimanali condotte da professionisti dei vari settori: la pittrice espressionista Emanuela Volpe che racconta l’arte attraverso l’uso del colore, il percussionista Massimo Carrano che parla di musicoterapia e altri aspetti del mondo delle note poco conosciuti al grande pubblico. Ovviamente l'articolo prosegue ma per chi fa musicoterapia questo è il cuore della notizia. Conosco di fama Massimo Carrano come percussionista ma non come musicoterapeuta. L'idea è davvero originale e innovativa. Per tutti gli interessati, il Palinsesto di Radio Imago prevede lo spazio curato da Massimo il Mercoledì alle 21:30 per una dura di 60 minuti. E' in replica il lunedì mattina alle 10:30 . La rubrica di Carrano si chiama Pangea calling. Un grande in bocca al lupo alla Redazione e in particolare a Massimo Carrano.

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01 gennaio, 2006

Musicoterapia e Songwriting3

Wittgenstein si sbagliò quando scrisse "Ciò che non siamo in grado di dire, affidiamolo al silenzio". Proprio no! Quello che non possiamo o riusciamo a dire, noi possiamo cantarlo

Victor Zuckerkandl - Man The Musican

Oggi è l'inizio di un nuovo anno e voglio dedicare questa frase a tutti quelli che lavorano con la musicoterapia e scrivono canzoni...e anche a tutte le persone che lavorano con la musicoterapia e aiutano altre persone a scrivere, dentro una canzone, quello che in altro modo non verrebbe mai detto.

LA VITA VERA
La vita vera è questa qui
Io non son certo Richard Gere
Io che c’ho sempre tanti crucci
E sogno d’incontrare la Bellucci

Tarira rira rira ri,
Tarira rira rira rarara
Tarira rira rira ri,
Tarira rira rira rarara


Qui sono tutti dei griffati
E vanno in giro in Maserati
Io invece viaggio in motorino
E compro tutto quanto al mercatino

Le vedi sempre a fare shopping
Con labbra e unghie rosa shocking
Ma ci ghe lava i pavimenti
A queste donne tanto intraprendenti

L’abbronzatura fa tendenza
E resti fuori se sei senza
Se poi ti manca il tatuaggio
Non puoi far parte del villaggio

Hanno dei fisici perfetti
Atletici e senza difetti
Io invece c’ho la pancettina
E lavoro dalla sera alla mattina

In questo mondo hollywoodiano
Pieno di voli in aeroplano
Tutti che inseguono il successo
Non vedi mai nessuno che va al cesso


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Per chi non riesce ad ascoltare la canzone ecco un altro link dove tutto dovrebbe funzionare!
la vita vera.mp3

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