(l'articolo originale di Luigi Offeddu è recuperabile cliccando sul titolo del post) Esagramma: un’orchestra vera e senza barriere. Unica in Europa, la scuola è formata da ragazzi disabili e professionisti. Tre sillabe, di tanto in tanto. Nulla di più. Non aveva mai avuto una voce, Sandro: gli era stata rubata alla nascita, dal trauma del parto. Così, a 12 anni, il mondo gli era sbarrato: forse anche per questo, balzava indietro terrorizzato non appena una mano lo sfiorava. Invece Giorgio, un anno in più, parlava in continuazione e non ascoltava nessuno: parole a grandine, che sovrastavano le parole degli altri. Un'altra gabbia, ma senza sbarre. Un giorno, Sandro toccò un triangolo musicale. Ne ascoltò il tintinnio, lo toccò ancora: «Bel-lo», gridò. Accanto al triangolo, nella stessa stanza piena di strumenti, c'era un contrabbasso: panciuto e «forte», quasi più grande del ragazzo. Lui lo abbracciò di slancio, sembrava dargli sicurezza. Dal contrabbasso sgorgò un suono. Cioè una voce: quella che a Sandro era stata negata.
Due passi più in là, Giorgio cominciò a picchiettare sui tasti di un pianoforte: suoni a cascata, affastellati e martellanti, proprio come le parole senza controllo; ma presto, Giorgio sentì d'istinto che per rispondere al borbottìo del contrabbasso lì accanto avrebbe dovuto frenare un poco quei suoni, trattenere le sue dita. Provò, sbagliò, riprovò, si arrabbiò: 4 mesi dopo, Stefano e Giorgio strimpellavano insieme una ninna-nanna, poi suonavano Musorgskij, poi altro ancora: 6 anni dopo (cioè oggi) la Nona di Beethoven, che l'artista compose quando era già sordo. Con loro due, suona il violino Beppe, cui la paraplegia ha legato un braccio; o vola sull'arpa, libera e leggera, Carla, fino a ieri imbrigliata dalle rigidità ossessive di una psicosi. Il violino è il braccio buono di Beppe. L'arpa è l'ala che porta via Teresa, e insieme la protegge dal buio.
Come loro, centinaia di altri. Gli allievi di Esagramma, il centro di formazione e terapia che da 18 anni apre con la chiave della musica molte gabbie che possono imprigionare un essere umano: autismo, ritardi cognitivi legati a forme genetiche come la sindrome di Down, psicosi, handicap di ogni genere (compresi quelli generati da un trauma cranico); ma anche le gabbie del disagio sociale e familiare, o di un genitore in difficoltà. Obiettivo: aiuto a chi soffre, e formazione di coloro che vogliono dedicarsi professionalmente (psicologi, educatori, medici, musicisti). Lezioni individuali, un centro multimediale, e la musicoterapica orchestrale: un'orchestra sinfonica con 15 educatori e 20 allievi: arpe, timpani, violini; archi, fiati, percussioni, tutto. Quest'orchestra è unica in Europa. Quasi nessuno dei suoi allievi legge e conosce le note. Suonano a orecchio, e seguendo i gesti del direttore: così hanno suonato a Roma, davanti a Giovanni Paolo II; e a Bruxelles, al Parlamento Europeo, con l'«Inno alla gioia». Quest'orchestra è poi unica perché la musica cura e consola ma è anche concentrazione, disciplina, coordinamento, emotività, responsabilizzazione: il contrario di ciò che concedono certe patologie. «Qui la musica non è solo relax ma anche pensiero, approdo alla complessità della mente e delle relazioni, per chi forse quella complessità non l'aveva mai conosciuta», spiega il direttore scientifico Licia Sbattella.
Nei concerti suonano per ore, fieri e attenti, anche ragazzi i cui margini di concentrazione durano abitualmente pochi minuti: «E non c'è buonismo o coccole di maniera, qualcuno che ti dice sempre "bravo". All'opposto: i nostri ragazzi sono molto esigenti, si stancano presto delle canzoncine e ci chiedono le sinfonie. Ma tutto è graduale: all'orchestra si arriva dopo 2 trienni di base, con i corsi di perfezionamento, Ogni lezione viene videoregistrata. Musica classica o no, ma sempre suonata seriamente: anche se rielaborata, adattata alle nostre esigenze. La sfida è: più grande la limitazione psicofisica, più prestigiosi lo strumento e l'esecuzione. Tutta la teoria si basa sull'elaborazione della risonanza, nella migliore letteratura classica e popolare. Primo anno: canzoncine, la "Sheherazade", Prokofiev; secondo anno: Grieg, Gershwin; terzo: Shostakovic, Dvorak, Mahler, molto sentito per come elabora i sentimenti della perdita e del dolore. Chopin? No, non concede armonie distorte: noi cerchiamo musica lavorabile anche se sempre significativa, armonie che ci ospitino».
Licia Sbattella ha i capelli ricci e gli occhi affollati di scintille: laurea in bio-ingegneria e in psicologia, dottorato in informatica, cattedra di analisi del linguaggio al Politecnico; tutto accompagnato da un amore per la musica nato da bambina, nei cori delle parrocchie. Racconta ciò che a Esagramma accade ogni giorno: «Il ragazzo o la ragazza arriva qui, sceglie liberamente il suo strumento. Tocca le corde, le bacchette, i tasti: esplora il suono frusciato, pizzicato, battuto, il tremolo. E cresce: se vuole, suona da subito. Così si espone, dialoga, scopre nel gruppo una motivazione aggiuntiva, e una difficoltà aggiuntiva. L'allievo è accompagnato ma non sostituito. Subito capisce che lo strumento è una voce sua, solo sua, una protesi benefica che amplifica e magnifica ogni sforzo, gratificando, facendo incontrare il mondo; e insieme, un oggetto diverso da lui e dal suo corpo, un oggetto protettivo, alleato, un'altra coperta di Linus. Un complice: se io sbaglio un accordo, è lo strumento che sbaglia… Uno prende la marimba con le ruote, e se la porta in un angolo, come per farsi proteggere. Un altro — è capitato — tira le bacchette, furioso: dapprima pensiamo che siano crisi legate al suo autismo, poi capiamo che vuole dirci: "basta canzonette, so fare di più!". Insomma: se io sono prigioniero del silenzio, se ogni comunicazione mi ferisce o mi ubriaca, ecco che lo strumento musicale mi libera da ogni compromesso con il mondo doloroso della parola». È sera, in via Bartolini 48 è l'ora delle prove. Nella stanza traboccante di suoni, Sandro abbraccia il suo contrabbasso, Beppe il suo violino; e Carla vola, sulle ali della sua arpa.
di Luigi Offeddu
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31 gennaio, 2006
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